La mobilità in Italia negli ultimi duecento anni

Nel XIX le città erano più piccole, ci si spostava meno. Le strade erano un luogo di passaggio, un luogo di tutti, dove si poteva giocare, passeggiare, parlare e la piazza era il luogo della socializzazione.
Gli unici mezzi che circolavano per le strade erano i carri, le carrozze, i cavalli.

Nelle città del passato esisteva una distinzione tra pedoni (poveri) e cavalieri (ricchi), che in genere avevano abitazioni dotate di stalle.

Sono trascorsi quasi due secoli dalla comparsa del primo velocipede, ma solo verso il 1870 si ebbe il primo biciclo (con le ruote a raggi) e sul finire del secolo l’attuale bicicletta.

A quei tempi, i trasporti erano dominati dalla ferrovia che consentiva lo spostamento rapido per i viaggi di media e lunga percorrenza. I treni erano suddivisi in classi (tre) che rispecchiavano le distinzioni sociali. I territori si distinguevano per la presenza delle stazioni (nodi) della rete ferroviaria, dove si spostavano merci e persone. Nel centro-nord si sviluppò anche la rete di tramvie urbane ed extraurbane.

La bicicletta si diffuse agli inizi del XX secolo quando lo sviluppo industriale diede il via all’espansione delle città e all’impossibilità di percorrere tali distanze  a piedi.

La mobilità attiva ha dominato fino all’arrivo della motorizzazione e allo sviluppo dell’industria dell’auto, molto forte in Italia.

In Italia, nel 1933 c’erano quasi 3,5 milioni di biciclette, 293.000 autoveicoli, 125.000 motoveicoli e 723.000 veicoli a trazione animale; un Paese con una mobilità sostenibile.

La mobilità attiva, spostarsi in bicicletta
Milano, piazza della Scala (1930)

Il boom della motorizzazione arrivò solo negli anni ’50 e ’60, con lo sviluppo economico, prima con la diffusione della Vespa (Piaggio) e della Lambretta (Innocenti) ed in seguito con l’arrivo della Fiat 600; le regioni più motorizzate erano quelle del centro-nord, Lombardia in testa con oltre 38.700 auto ed in coda la Basilicata con 502 vetture. In quegli anni anche la rete autostradale andò sviluppandosi, nel 1964 venne inaugurata l’A1. Anche il trasporto merci contribuì alla motorizzazione su gomma con l’evidente diffusione di autocarri, autotreni, autoarticolati e furgoni.

Nel 2020 il tasso di motorizzazione era di 0,67, approssimativamente un’auto ogni 1,5 abitanti. Nel 1927 c’era un’auto ogni 230 abitanti!

Anche l’architettura dei quartieri urbani ha subito grandi cambiamenti, dapprima non si pensava alla “rimessa” delle auto, da alcuni decenni i box di pertinenza sono stati resi obbligatori per la costruzione di nuovi edifici.

La mobilità attiva, spostarsi in bicicletta
Milano, piazza della Scala (1970)

La mobilità in Olanda negli ultimi 70 anni

Anche in Olanda, dal 1957, ci fu un vero e proprio boom delle auto mentre l’uso della bici si contraeva del 6% annuo così, alcuni politici ipotizzarono addirittura che entro qualche anno le bici sarebbero scomparse dalle città: interi quartieri vennero rasi al suolo per costruire strade e favorire il traffico motorizzato. La distanza quotidiana media percorsa da un olandese passò da 3,9 km del 1957 a 23,2 km nel 1975.

Gli effetti negativi della diffusione dell’auto non tardarono ad arrivare, in particolare con l’aumento degli incidenti stradali che, nel 1971, provocarono 3.300 morti di cui 400 bambini (nel 2011 sono stati 14).

Il 16 marzo 1972 fu trasmesso in TV un documentario sulla sofferenza dei bambini del vecchio e popoloso quartiere “De Pijp” di Amsterdam che, vivendo in strada, lottavano contro l’invasione delle auto.

Questi numeri sconcertanti provocarono l’indignazione della  popolazione, che organizzò numerose manifestazioni di protesta; tra i gruppi più attivi figurava “Stop de Kindermoord”, “Fermiamo la strage di bambini” (anche nel Regno Unito, qualche anno fa, è stato realizzato il film “Stop Killing our Children” sui pericoli in strada per le persone).

Il movimento di protesta, fondato dall’ex deputata olandese Maartje van Putten, la crisi petrolifera del 1973 e la pubblicazione del CROW Design Manual for Bicycle Traffic contribuirono a capovolgere la politica governativa. L’Olanda iniziò a limitare l’uso urbano dei veicoli a motore e a promuovere altre forme di trasporto, come la bicicletta, percepita come fondamentale per rendere le strade più sicure e le città più vivibili ed adatte alle persone.,

De Pijp (1972)

Per far tornare a crescere il numero di ciclisti fu fondamentale la realizzazione di chilometri e chilometri di piste ciclabili. Hague e Tilburg furono le prime città olandesi a sperimentare le piste ciclabili urbane, rendendosi presto conto che queste venivano effettivamente utilizzate se organizzate in una sorta di rete. Oggi l’Olanda vanta una rete di circa 35 mila chilometri di piste ciclabili, ad Amsterdam circa il 38% degli spostamenti avviene in bici e a Groningen questa quota arriva al 59%. La mobilità ciclistica è molto considerata dalle amministrazioni comunali e ci sono professionisti che vi lavorano quotidianamente, la rete ciclabile è ben manutenuta e negli ultimi anni si stanno diffondendo anche le bici elettriche, in particolare tra gli anziani.

Oltre alla storia e ai movimenti sociali ci sono altre ragioni che hanno favorito la diffusione della mobilità attiva in Olanda:

  • è un paese relativamente densamente popolato e molto pianeggiante, il che significa che le distanze di viaggio tendono ad essere brevi, anche tra le città;
  • il clima consente di percorrere brevissime distanze senza sudare troppo (le persone possono andare in bicicletta al lavoro o a scuola senza doversi fare la doccia o lavarsi subito dopo);
  • esiste una rete di piste ciclabili, ben segnalate, ben tenute e ben illuminate, con incroci strada/pista ciclabile che spesso danno la precedenza ai ciclisti rendendo il ciclismo stesso comodo, piacevole e sicuro;
  • le esigenze dei ciclisti vengono prese in considerazione in tutte le fasi della pianificazione urbanistica (le aree urbane sono spesso organizzate come woonerven (strade viventi) in cui sono prioritari i ciclisti ed i pedoni rispetto ai veicoli motorizzati;
  • l’approccio alla progettazione stradale è basato su standard, in cui i conflitti tra le diverse modalità di trasporto vengono eliminati ove possibile o ridotti il più possibile (il risultato è che il ciclismo è reso sicuro sia oggettivamente che soggettivamente);
  • le città sono state progettate con accesso limitato alle auto e con ridotti parcheggi rendendo l’uso dell’auto poco attraente;
  • una forma di responsabilità oggettiva è stata adottata nei Paesi Bassi dall’inizio degli anni ’90 per gli incidenti tra biciclette e veicoli a motore (questi si presuppone che abbiano sempre torto), per cui l’assicurazione dell’auto copre il risarcimento dei danni
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